Biagio Buonomo, professore nei Licei di storia e di lettere classiche e moderne, attraverso la redazione di Napolitoday, ha inoltrato una lettera aperta al Presidente incaricato Mario Draghi.
Ecco quanto si legge:
“Presidente Draghi, si fidi di me. Anche se lei ha fatto il liceo dai gesuiti e io dai salesiani. Crediamo nelle stesse cose. Ma probabilmente le vediamo da una prospettiva diversa. Molto diversa. Chissà: non ci dividono solo Ignazio e Don Bosco: a lei il suo PhD in Economia regala uno sguardo sincronico sulle cose; il mio PhD in Storia Antica me lo concede diacronico. Servono entrambe le prospettive, sia chiaro. Ma la seconda apre più larghi orizzonti di comprensione del reale.
Ma veniamo al presente: sono un professore di un liceo napoletano e, un paio di settimane fa, previdi a cosa avrebbe portato la riapertura delle scuole nella mia regione. E cioè a un grave aumento dei contagi, a motivo di regole tanto draconiane quanto impraticabili: il famigerato metro unico di distanziamento – come se in aula ci muovessimo, noi e i ragazzi, al modo del Quartetto Cetra che impeccabilmente interpreta la coreografia del Visconte di Castelfombrone -; la mascherina, indossata per cinque o sei ore di fila e a fine giornata ridotta– ben lo sa ogni medico con un minimo di competenza – a uno straccio lercio e soffocante. E, infine, le patetiche finestre da tenere aperte nei giorni della merla.
Davvero: si fidi me. Previdi anche, grazie alla grottesca “didattica mista”, la fine di ogni possibilità tener lezione decentemente a una classe INTERA: ora le nostre parole arrivano alla metà dei ragazzi, quelli in aula, mentre gli altri – appollaiati alle finestrelle di un PC non retto dalle nostre stabili connessioni casalinghe ma da quelle cabriolet delle scuole – restano fatalmente esclusi dal discorso nella sua completezza; basti dire che i ragazzi perdono tutti gli interventi dei loro compagni: bel traguardo di “socializzazione” davvero”.
Poi ha aggiunto: “Non basta: scrissi pure del fallimento delle molto strombazzate misure di “implementazione” – vocabolo tanto alla moda quanto vuoto – dei trasporti pubblici; antividi l’assenza di ogni presidio di “Protezione Civile” – persino questa fola ci era stata data per certa – nei pressi delle scuole per evitare gli assembramenti in entrata e uscita. Che – anche questo dissi allora e ripeto adesso– si realizzano in primo luogo nei trenta metri quadrati di un’aula. È UN ASSEMBRAMENTO IN SERVIZIO PERMANENTE EFFETTIVO. Che noi professori affrontiamo SENZA VACCINO. E senza quella possibilità di scelta tra casa e scuola che – giustamente – è stata concessa ai nostri studenti.
Badi bene: non sono né profeta né menagramo. Sono solo un tale che, in più di trent’anni, ha imparato a conoscere la scuola dall’interno; che ha imparato a misurarsi con una classe politica, locale e nazionale che, quando mette le mani sull’istruzione, fa solo danni; che la pratica dell’insegnamento ha soprattutto abituato a distinguere, quasi infallibilmente, la realtà dalla sua rappresentazione, propagandistica o solo sciocca.
E dunque: attraverso a fatica la nuvola di incenso – il più venefico dei gas – che per adesso la avvolge e che ancora l’avvolgerà per qualche tempo prima che – italico more – le verrà attribuita anche la responsabilità del riscaldamento globale, e mi rivolgo a lei come a un uomo e non come a una specie di intangibile divinità olimpica.
Ebbene: LEI HA SBAGLIATO, PRESIDENTE. Se davvero ha affermato che noi professori dobbiamo far lezione fino al 30 giugno per guadagnare il “TEMPO PERDUTO”.
Ci ha offeso, Draghi. Ha offeso tutti i professori italiani. Forse senza rendersene conto. Spero in buona fede. Ma il fatto resta. Il “tempo perduto”, presidente? Lei probabilmente sa – è stato un docente universitario; a proposito: i suoi ex colleghi continuano allegramente in DAD sine die – quanto sia faticoso e impegnativo far lezione online.
E, in ogni caso, per certo ha coscienza di quanto sia stremante, per il tramite di un PC, interloquire con questo o quel capo di governo o con il tale presidente di banche o di organismi internazionali. E’ necessario un possesso perfetto degli argomenti, una scelta attenta del lessico, dei ritmi. Se un incontro dal vivo si può risolvere con un sorriso o un aforisma, quando si è a distanza NON SI PUÒ IMPROVVISARE NÉ SBAGLIARE. Bisogna argomentare. Faticosamente, incessantemente.
Ecco: questo è quel che noi professori abbiam fatto in questi mesi. Imparando sul campo un metodo a molti ignoto e usando, peraltro, SOLO DEI NOSTRI MEZZI.
Per questi motivi, presidente Draghi, NOI NON ABBIAM PERSO UN’ORA CHE E’ UNA D’INSEGNAMENTO. E DUNQUE NON ABBIAMO TEMPO DA RECUPERARE. O da ricomprare, per usare una splendida locuzione paolina che, fortunatamente, pertiene vicende altre, più alte e che immagino non la lascino indifferente. Vuole mandarci a scuola fino al 30 giugno? Lo faccia pure. A scuola stiamo e lavoriamo fino a metà luglio, anche se molti italioti da dibattito al bar non lo sanno.
MA LEZIONE FINO AL 30 GIUGNO NO. Per nulla. Perché – senza interruzioni per scioperi dei trasporti, allerte meteo e godendo di un numero infintamente minore di assenze dei nostri allievi – abbiamo fatto lezione non come sempre MA PIÙ DI SEMPRE.
Un duplice guadagno, dunque. Qualitativo – in DAD come ho detto non si improvvisa – e quantitativo. Ma attento, Draghi: PER QUEL CHE VALE LA QUANTITÀ. Io e lei iniziavamo la scuola il primo di ottobre e mettevamo via i libri il 31 di maggio. Eppure abbiam percorso la nostra buona strada.
Infine: noi professori siamo tra le poche categorie del pubblico impiego che lavorano davvero. Perché una pratica può aspettare, una email si può scrivere domani. A un telefono si può anche non rispondere e amen. Noi professori invece si ha per testimoni – online o dal vivo – i nostri studenti. Che sono giudici giusti. E spesso spietati.
In ogni caso, presidente, auguri per l’impegno che sta mettendo nel dare un governo al nostro povero paese. E mi raccomando: non perda tempo. Mi raccomando”.