QUALE NATALE?

Tra tutte le ricorrenze quella del Natale è probabilmente la più universale. E ciò anche indipendentemente dalla appartenenza o meno al cristianesimo. L’Avvento e la nascita del Bambinello, che riproduce tra l’altro il mito o l’archetipo della rinascita della vita, si è imposto nella storia fino a scandirne le date dei cicli naturali. Gli anni e le epoche vengono segnati in riferimento alla nascita di Gesù, Dio sceso in Terra e fattosi “uomo tra gli uomini”, per la salvezza degli stessi dal male e dal peccato.
Che cosa abbia universalizzato tale data non è facile da spiegare, ma probabilmente è il messaggio di Pace che almeno idealmente dovrebbe unire tutti gli uomini, insieme a quello della sacralità della “vita che nasce”. Che poi la ricorrenza sia diventata una festa globale all’insegna del consumismo può anche essere irrilevante, anche perché nella stessa deriva mondana del Natale è implicita, oltre che necessaria, una condizione di pacificazione universale, di tregua dalle contese, di sospensione delle rivalità, di messa al bando degli odî. Non si può festeggiare il Santo Natale con i conflitti in casa. La festa presuppone la serenità degli animi, altrimenti che festa è. Piuttosto diventa la più triste di tutte le contraddizioni.
Quest’anno la ricorrenza del Natale si avvicina, forse sarebbe meglio dire si “ri-avvicina”, con l’ombra cupa della guerra totale e globale. Guerre un po’ ovunque, ma soprattutto in Medioriente e in Ucraina. Siamo già oltre la “guerra mondiale a pezzetti”, come disse Papa Francesco tempo fa. Siamo alle prove generali della Terza guerra mondiale “per intero”, che poi sarebbe l’ultima se le minacce nucleari fossero mantenute. Viviamo sul ciglio del burrone universale e definitivo ma stentiamo a capirlo, a dar prova concreta di timore della guerra vera. Tutto passa nei media e nelle reti di Internet come fosse un videogioco o una fiction; come qualcosa di irrealistico che appartiene ad altri e che noi partecipiamo solo con la nostra distanza di spettatori, o con la cinica indifferenza degli estranei alle contese. Strano, stranissimo. Si arriva addirittura a schierare la polizia per chi invoca la fine dei conflitti; si arriva a porre le manette a chi in piazza grida contro il genocidio in Palestina e invoca la Pace.
Non sono segni confortanti per nessuno. Soprattutto non lo sono per noi italiani che ospitiamo il centro della Cristianità e nello stesso tempo anche il maggior numero di basi militari americane e della Nato. Non siamo padroni in casa nostra. Siamo costretti a schierarci dalla parte di chi porta e sostiene le guerre, senza che i contendenti ci abbiano fatto niente di male. In Costituzione abbiamo, famosa ma ormai fumosa, la frase dell’Italia che “ripudia la guerra”. Strano ripudio il nostro se poi non siamo in grado di affermarlo con prese di posizione coerenti, scelte chiare e gesti coraggiosi. Strano ripudio il nostro se non riusciamo a capire che in un conflitto diretto tra Russia e Stati Uniti, mascherato da conflitto con l’Europa e la Nato, l’Italia sarebbe obiettivo sin troppo diretto e facile, vista la sua posizione geografica e la sua totale impreparazione e incapacità a sostenere uno sforzo bellico, anche di natura difensiva. Strano ripudio il nostro se i vertici del governo italiano giocano a rimpiattino sulle responsabilità globali o semplicemente giocano con le parole della sola convenienza di parte. Strano ripudio il nostro se la comunità nazionale, che si esprime anche attraverso la voce dei propri sindaci, non riesce a farsi adeguatamente ascoltare.
Anche a Corato, una città dove l’ideale della pace è diventato un preciso topos politico, stiamo assistendo a un’incredibile e ipocrita retorica della pace. Di iniziative forti, eloquenti e coerenti nessuna. Certo, si dirà, un piccolo comune che cosa può fare? La bandiera della Palestina al balcone di Palazzo di Città, un passaggio in Consiglio comunale e una partecipazione a una marcia pacifista o a un incontro di preghiera sono più che sufficienti. Certo che lo sono, ma solo per lavarsi la coscienza. E, invece no. Si può fare di più, specie in prossimità del Natale.
Si può prendere chiaramente posizione rispetto al riconoscimento dello stato di Palestina; si può aderire con un documento ufficiale alla richiesta di cattura internazionale nei confronti di chi si è macchiato dei reati di genocidio e crimini contro l’umanità, in primis Benjamin Netanyahu; si possono organizzare le manifestazioni natalizie non solo con luminarie e zinnanà, ma con qualche riguardo alla situazione dei popoli in conflitto; si possono avviare concrete iniziative pubbliche per chiedere e sostenere qualche famiglia o bambini profughi dalle zone di guerra, impiegando una parte dei cospicui fondi destinati ai festeggiamenti e stanziandone altri; si può fare pressione sull’Anci Puglia, e quindi presso l’Anci nazionale, il cui nuovo presidente è il sindaco di Napoli, Gaetano Manfredi, per ulteriori iniziative, vista anche la sostanziale immobilità del governo nazionale.
Qualcuno dirà che queste sono pie illusioni, vuote fantasticherie, inesistenti utopie. No, invece, per il semplice fatto che quando si è sull’orlo dell’abisso non c’è niente di più facile e necessario che credere nell’impossibile. Non c’è niente di più urgente che rovesciare la logica della caduta in quella della salvezza. Non c’è niente di più natalizio che rendere il Natale giorno di Luce che si fa concreta Speranza.
GAETANO BUCCI

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