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L’INTELLIGENZA ARTIFICIALE E IL CAFFÈ NAPOLETANO

Le scadenze sono scadenze e vanno rispettate. Soprattutto a La Capasana, nel cui decalogo c’è quel “cogli l’attimo” che un po’ affascina e un po’ atterrisce. Cogliere l’attimo per l’editoriale è una bella sfida. Talvolta anche una bella sfiga. Bisogna centrare l’argomento, renderlo “appetibile” (cosa difficile in tempi dai gusti ricercati), trattarlo bene e servirlo coi guanti bianchi (ormai sono tutti permalosi e vanesii). Compito impossibile? No, con un po’ di fantasia e un po’ cogli occhi aperti ce la si fa. Se poi qualcuno arriccia il naso o sbotta per timor di ricevere “sberle a parole” a La Capasana interessa poco. Si sa, questi fogli – non per dire! – son fatti apposta per “pro-vocare”. Cioè per suscitare reazioni di pensieri e riflessioni, insieme a qualche risata satirica. A Corato ce n’è bisogno come il pane, visto che il “sonno del companatico” dal Palazzo lo servono un giorno sì, e l’altro pure.
Ebbene, questa volta per affrontar la tenzone dell’editoriale a niente è valso il timor vacui, anzi la sindrome da foglio bianco. Per un attimo, un aiutino ho implorato a Chat-Gpt. Poi ci ho ripensato e ho lasciato perdere. Meglio far da sé, come sempre. Ma far da sé su che? Parlare di storie di Natività e Babbo Natale non ha gran senso, visto il trambusto distruttivo che ci ritroviamo intorno al mondo; che, se non fosse vissuto come un improbabile reality show, certamente ci seppellirebbe di sola paura. Scrivere dei fatti accaduti a Corato in quest’ultimo anno sarebbe noioso e pleonastico esercizio di retorica divisiva perché il niente si commenta da sé, seppur da sé non si spieghi. Nelle strette, allora, son tornato a un argomento che, come il novantanove percento degli umani, conosco poco ma di cui tutti parlano; quello della Intelligenza Artificiale, che in modo abbreviato si scrive AI, e non IA, perché agli inglesi l’aggettivo piace metterlo prima del nome.
Che cos’è e perché parlare di AI in un editoriale? Le definizioni di AI sono tante e solo in parte simili. Tra le tante abbiamo scelto questa: “L’intelligenza artificiale (AI) è l’abilità di una macchina di mostrare capacità umane quali il ragionamento, l’apprendimento, la pianificazione e la creatività”. È una definizione piuttosto semplice di una “roba” molto complessa. Ne parliamo in questo editoriale per il semplice fatto che l’AI è entrata in modo prepotente nel campo della informazione, e più in generale della comunicazione, della linguistica e finanche della letteratura. Ci sono negli USA giornali che vengono gestiti, solo o quasi, da computers dotati di intelligenza artificiale. La cosa non è di poco conto in quanto sia la narrazione dei fatti che la loro interpretazione viene affidata a certi algoritmi modulati secondo specifiche scelte editoriali. Il che significa che sì la macchina “elabora”, anzi “ri-elabora” testi, ma lo fa secondo quanto gli è stato detto di fare e tenendo conto di una infinità di informazioni memorizzate. Insomma, è sì intelligente ma non “furba”. È sì autonoma, ma non libera. Fa tutto molto velocemente, ma in qualche modo ubbidisce. Sul web abbiamo visto come in pochi istanti o minuti, e sulla base di pochi input, si possa ottenere bella e pronta una tesi di laurea, una storia romanzata, addirittura una poesia.
E qua entra in campo il nome stesso di Intelligenza Artificiale, che a ben notare è una contraddizione in termini, un ossimoro come per dire “ghiaccio bollente” o “acqua in polvere”. L’intelligenza sappiamo essere naturale, seppure non si è mai capito in che cosa essa consista esattamente, tanto che ogni tentativo di “comprenderla” si scontra con gli strumenti per farlo. Esempio tipico quello della misurazione della intelligenza con i test di intelligenza che valutano con qualche esattezza le capacità logico-cognitive non alla stessa maniera quelle adattive o emotive, che pure fanno parte della intelligenza umana. Lo stesso si potrebbe dire delle “macchine intelligenti”. Sono tali solo nei limiti, seppure amplissimi, delle grandi capacità di elaborazione (qualcuno dice di “ragionamento”) dei dati e di utilizzo operativo degli stessi, attraverso modernissime e strabilianti tecnologie, sia civili che purtroppo militari. Non possiamo però dire che gli apparati governati da AI siano minimamente paragonabili anche alla più piccola intelligenza naturale. Alla macchina manca il cuore, l’anima, la coscienza, la lacrima e il sorriso. Alla macchina manca il “senso dell’essere”. Alla macchina, per quanto intelligente possa essere, “manca la soddisfazione di gustare un buon caffè napoletano”. Non lo diciamo noi, ma lo scrissero egregi intellettuali e noti scienziati nel documento conclusivo di un importante convegno di studi sul rapporto tra l’uomo e la macchina.
Queste modestissime riflessioni in forma di editoriale di un giornale satirico come La Capasana ci servono per dire due cose. La prima, ovvia, è che faremmo bene a non farci “abbindolare” dalla intelligenza artificiale, che è, e deve rimanere, un aiuto delle facoltà umane; un formidabile “servitor dell’uomo”, non di più. La seconda, meno ovvia ma non meno importante, è che la intelligenza artificiale non esime l’uomo dalle sue grandi responsabilità verso il suo simile e verso il mondo. A tutto c’è un limite, anche alle strabilianti prospettive della AI. Per l’uomo, invece, onori ed oneri. L’onore, quello di aver, novello Prometeo, generato la “macchina che pensa, o quasi”. L’onere, quello di farsi carico di controllare che “la macchina non pensi troppo da sé”.
Infine, senza alcun artificio di AI e con grande sincerità, vorremmo augurare a tutti i lettori de La Capasana un Felice Natale e un Buon Anno Nuovo, sperando di incontrarvi sempre più numerosi sul nostro foglio che, come detto, un po’ fa ridere e un po’ fa riflettere.
GAETANO BUCCI

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