BREVIARIO CORATINO 9

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CENTO ANNI DALLA NASCITA DEL PCI
IN ITALIA E A CORATO

Cento anni fa la nascita del PCdI, sezione della Terza Internazionale. Fu l’esito di della evoluzione storica e della dialettica ideologica del socialismo. Il socialismo si era evoluto e nel giro di pochi decenni era passato da forza di opposizione al capitalismo e alla classe borghese a forza politica capace di capovolgere le fondamenta stesse della società e diventare forza di governo. In Russia il socialismo aveva vinto. Aveva spazzato via il sistema zarista e si proponeva, attraverso la rivoluzione internazionale, di cambiare le sorti dell’intera Europa. Non era nato dalle contraddizioni del sistema capitalistico, come prevedeva Marx, ma dall’anacronismo dello zarismo, un ancien regime con residui feudali.

UNA STORIA DI CONQUISTE E CONTRADDIZIONI
Il socialismo nei primi lustri del Novecento nei diversi paesi europei si era trovato a dibattere e a scontrarsi nel suo interno sia sugli obiettivi da raggiungere a breve e lungo termine, sia sui metodi e le strategie per la conquista del potere. Le due maggiori “opzioni” erano quella riformista e quella rivoluzionaria. La seconda non aveva avuto grande fortuna finché il Primo conflitto mondiale e la Rivoluzione russa non aprirono nuove e inaspettate possibilità per la conquista rapida e violenta del potere. Il che non fu altro che il passaggio, seppure secondo un processo diverso da quello preconizzato da Marx, dal socialismo al comunismo.
Quest’ultimo, sotto forma di “dittatura del proletariato”, non doveva essere che una fase transitoria rispetto all’obiettivo finale del socialismo, ovvero quello della società senza classi; una società in cui l’uomo avrebbe conquistato la piena libertà in un sistema di giustizia garantito dalla abolizione della proprietà privata. Era stata questa, infatti, ad essere da sempre la fonte e la causa dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo.
Le rivoluzioni industriali, infatti, lungi dall’aver contribuito a ridurre le differenze e i contrasti tra le classi, li avevano viceversa di molto aumentati. Il capitalismo, ovvero proprietà privata e libero scambio, era stato riconosciuto quindi come il sistema diabolicamente perverso che si frapponeva alla emancipazione verso una “nuova umanità” e perpetuava senza limite lo sfruttamento dell’uomo sul suo simile. Gli sfruttati, anziché diminuire aumentavano fino a ridursi in una gran massa di “proletari”, ovvero di persone definite dalla sola capacità di avere “prole”, ovvero massa umana da destinare allo sfruttamento capitalistico.
La evoluzione della idea socialista, insieme a quella dell’anarchismo prima e del sindacalismo dopo, aveva però aperto nuove possibilità di lotta agli enormi poteri degli stati nazionali e a quelli della borghesia industriale, soprattutto a partire dagli ultimi decenni dell’Ottocento.

1921. DALLA DIVISIONE DEL PSI NASCE IL PCd’I
In Italia, nel momento in cui a Livorno ci si avviò a celebrare il XVII Congresso del Partito Socialista Italiano, la classe operaia e contadina in realtà aveva già messo a segno poche ma importanti conquiste, sia sociali che sindacali. A dimostrazione di ciò sta il fatto del notevole successo ottenuto alle elezioni del 1919 con cui esso divenne il maggior suffragato con oltre il 32 percento dei consensi.
E forse fu proprio tale successo, in concomitanza di altri fattori, come la crisi post-bellica, la rivoluzione russa e il desiderio di mettere fine alla monarchia che spinse molto avanti l’ala massimalista del partito che vide già maturate le condizioni per spingersi verso il tentativo di capovolgimento del quadro politico italiano in direzione del comunismo. La scissione di Livorno non fu improvvisa e sicuramente maturò entro il progetto di internazionalizzazione della rivoluzione sovietica, tanto che il PCdI nasce come sezione della Terza Internazionale dopo l’accettazione delle condizioni contenute nei famosi “21 punti”.
La nascita del Partito Comunista d’Italia avviene sotto l’egida della Internazionale Comunista di cui esso diventava “sezione”. Il vero fautore di quella svolta più che Gramsci fu Bordiga. Da allora la storia del socialismo italiano, che conoscerà altre divisioni, fu contrassegnata da una lunga serie di vittorie e di conquiste ma anche di sconfitte e snaturamenti. Lo stesso fascismo di Mussolini, ex socialista, fu costretto a dare risposte completamente sbagliate e mistificate a domande sociali, economiche e politiche poste dal socialismo.
Il ventennio della dittatura non fu però solo una vuota parentesi. La più aspra opposizione al fascismo venne infatti messa in piedi proprio dai socialisti e dai comunisti che si trovarono a combattere un nemico comune. Un nemico molto diverso, più pericoloso e distruttivo dello stato borghese e delle monarchie tradizionali.
Il passaggio dalla monarchia alla repubblica in Italia, dopo la lunga e vittoriosa Guerra di liberazione, non poteva non essere il banco di prova per la rinascita sia dell’idea socialista che, soprattutto, per quel partito comunista che pochissimo tempo aveva avuto per mettersi alla prova come partito di riferimento dei lavoratori e che sostanzialmente era cresciuto nella clandestinità e sotto l’ala protettiva della Russia sovietica.

IL SECONDO DOPOGUERRA: DALL’ISOLAMENTO AL COMPROMESSO STORICO
Non c’è dubbio che il Partito Comunista Italiano nel secondo dopoguerra, grazie anche alla svolta di Salerno operata da Togliatti, ebbe, per paradosso, il merito di far crescere la coscienza democratica e la emancipazione delle classi lavoratrici senza però andare mai al potere. La sua forza ideale, politica e sindacale fu tale che divenne imprescindibile termine di confronto non solo con la egemone Democrazia Cristiana ma anche coi partiti socialisti, che spesso furono i suoi più acerrimi oppositori, come avvenne nel 1956 dopo i fatti di Ungheria.
Gli anni Settanta furono quelli in cui, per una favorevole congiunzione di cause, maturò il massimo consenso al PCI. Alle elezioni politiche del 1976 si ebbe un exploit al 34 percento. La Democrazia Cristiana non poteva più governare senza il sostegno, seppure esterno, del PCI. Aldo Moro ed Enrico Berlinguer furono i protagonisti dello storico incontro politico che andò sotto il nome di “convergenze parallele” che molto preoccupò l’Europa e gli USA, e che forse fu all’origine dell’omicidio dello stesso statista democristiano.

IL PCI A CORATO NEI GLORIOSI ANNI SETTANTA
Gli anni Settanta costituirono anche quelli del completo cambiamento ed avanzamento della sezione del PCI di Corato. Da partito a base contadina, bracciantile ed operaia divenne in poco tempo partito animato da molti giovani, soprattutto studenti universitari e giovani insegnanti, che reimpostarono su basi completamente nuove la partecipazione alla vita politica e culturale di Corato.
Dopo gli anni della Contestazione studentesca del ’68, vissuta in modo piuttosto di riflesso e con una certa enfasi goliardica, gli anni Settanta videro crescere a Corato la partecipazione politica dei giovani attraverso nuove forme di associazionismo. In particolare fu molto attiva l’ARCI, associazione collaterale, a cui aderirono giovani professionisti e studenti di diversa estrazione di sinistra. Portarono in città una riflessione critica collettiva orientata e sostenuta dalle conquiste più recenti dei comunisti, dei socialisti e dei radicali. I temi del diritto all’istruzione e della democrazia nella scuola e nelle università, del diritto al lavoro, della rivoluzione femminile, della sanità pubblica, della libertà dei popoli oppressi, della stessa emancipazione del PCI, da partito di lotta a partito di governo, erano tutti molto sentiti.
Il PCI di Corato era guidato dal bracciante Pasquale Lops a cui si affiancò successivamente il prof. Aldo Mosca. Fu per la prima volta evidente, seppure nella dimensione di una città di provincia del sud, quella saldatura tra classe contadina e operaia col ceto intellettuale. Una rappresentazione plastica di ciò era la Festa dell’Unità, di solito celebrata in piazza Plebiscito a pochi passi dalla sede storica del PCI locale. In particolare il richiamato anno 1976 fu l’anno di una significativa saldatura tra il sindacato della CGIL e il PCI. Nell’estate dell’anno precedente c’era stato un lungo sciopero nelle campagne che culminò col sequestro di diverse trebbiatrici parcheggiate per giorni in piazza Buonarroti. E il sempre il 1976 fu anche l’anno della celebrazione del massimo consenso verso il PCI, che si poté ben percepire nel corso di riuscitissima festa in piazza Vittorio Emanuele organizzata dai ragazzi dell’ARCI.
Gli anni Settanta a Corato furono anche gli anni dei grandi cambiamenti anche nella base produttiva e nell’assetto urbanistico. Dopo il ritorno dall’estero di molti emigrati degli anni Cinquanta e Sessanta, si costituirono numerose nuove piccole ma agguerrite aziende artigiane e commerciali. Per la gran parte nacquero come “sistema indotto” dalla rivoluzione urbanistica e dell’esplosione edilizia.
Il Piano Regolatore Generale fu approvato nel 1976. In esso era contenuto il futuro assetto urbanistico di Corato, con tutti i suoi pregi e difetti; tra i primi la possibilità per migliaia di famiglie di avere alloggi più ampi e dignitosi, tra i secondi la speculazione che riguardò, in prosecuzione di tendenze precedenti, soprattutto il centro, l’Estramurale e la nuova Zona Industriale.
Gli anni Settanta furono anche quelli in cui anche a Corato, grazie al PCI, maturò una nuova coscienza verso le grandi questioni internazionali come il colpo di stato in Cile, la guerra in Vietnam, la liberazione della Palestina e la democrazia negli stessi paesi comunisti, in primis in Unione Sovietica.

LA PARABOLA SI “CHIUDE”
Dopo la morte di Aldo Moro e le grandi manifestazione di massa che ne seguirono a livello nazionale e locale si ebbe da un lato il fallimento del compromesso storico dall’altro la consapevolezza che per il PCI qualcosa doveva cambiare. Gli anni Ottanta furono in qualche modo quelli del riflusso e della rimodulazione delle basi e delle prospettive storiche del partito. La base mise da parte pressoché definitivamente la “lotta di classe” nel mentre i grandi cambiamenti internazionali e le successive crisi azionali portarono anche a Corato ad una trasformazione, forse ad una irreversibile trasfigurazione del vecchio PCI. La fine dell’Unione Sovietica, per quanto distante dalla prospettiva del comunismo italiano, segnò anche la fine del partito che si trovò anche coinvolto nello tsunami di Tangentopoli.
Dagli anni Novanta in poi fu un’altra storia. Il fiume delle speranze rivoluzionarie si disciolse nei mille rivoli che immancabilmente portavano verso la accettazione del dogma del capitale e della democrazia più o meno liberale.
Così dopo cento anni dalla scissione nel PSI a Livorno e la nascita del PCI ci tocca di celebrare più che una viva “ricorrenza”, un vivo ricordo; quello del tentativo di dare una direzione e prospettiva completamente nuova al nostro Paese. Un tentativo fallito che però ha lasciato nel suo glorioso percorso grandi e impensabili conquiste sociali e civili, soprattutto in termini di coscienza civile e partecipazione democratica.
Dispiace che a Corato, in verità non diversamente che in tutta Italia, non si sia aperta una grande riflessione sul “destino del comunismo”, e aggiungerei del socialismo, visto che ciò che si è perso negli ultimi decenni di democrazia liberale è molto di più di ciò che si è guadagnato in termini di libertà, di partecipazione e, soprattutto, di giustizia e di uguaglianza. Dispiace che non l’abbia fatto il nuovo sindaco, Corrado De Benedittis, e che non l’abbia fatta il Partito Democratico. Ma, come si dice, non è mai troppo tardi.
Per concludere. Forse, andando avanti per la pericolosa china dell’iper-capitalismo globalista, nuovamente tornerà tra le masse la necessità di riprendere il sentiero interrotto della “speranza socialista”, arricchita dall’imprescindibile storia dell’idea comunista.

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